LECCE-VENEZIA: DAL DOLORE SI PUO’ RICOMINCI(A)RE

L’esperienza del dolore è propria dell’uomo, gli appartiene senza distinzioni di alcun tipo.

“Molto è dato a pochi e poco è dato a molti. L’ingiustizia si è divisa il mondo e niente è distribuito equamente tranne il dolore”

, asseriva Oscar Wilde.

Ed è vero, in maniera più o meno grave, nel corpo e nell’anima, nessuno può dire di non averlo mai provato. Tant’è, che a voler contare le tante volte che si è sofferto, certamente nessuno riuscirebbe nell’impresa. Eppure, per quanto numerose in passato sia accaduto, mai una volta è stata uguale all’altra. Né mai in futuro lo sarà. Per le cause che la scatenano, per come ci arriva addosso e, soprattutto, per come vi reagiamo. Ogni presente ha la sua specifica, ineguagliabile, piccola, grande prova dolorosa.

Sportivamente parlando, possiamo dirlo con grande consapevolezza, purtroppo, noi cuori leccesi. Giunti alla vigilia di Lecce-Venezia, secondo round di semifinale di playoff di serie B, già accartocciati sull’infausta sconfitta dell’andata, seppur con lo scarto minimo. Poi, via via, sempre più stretti dal forte groviglio di emozioni attorcigliatesi nel corso della sfida.

Al Via del Mare, la chiave che aprirebbe ai giallorossi le porte dell’agognata doppia finale è solo una vittoria, con qualsiasi risultato. E, meno male, al primo fischio dell’arbitro è già un Lecce incoraggiante, lontano anni luce da quello del “Penzo” e delle ultime uscite in “regular season”.

Prende subito il controllo del gioco, sfiorando la rete in un paio di limpide occasioni. Crudele quella intorno alla mezz’ora.  Tiro dal limite, palla deviata che si impenna, respinta dal portiere sul difensore, incredibile effetto flipper  e fine corsa a stampa sulla traversa. Scosso dal brivido, il Venezia esce dal guscio e nei minuti di recupero riesce persino a realizzare. Sugli sviluppi di un corner, contrasto molto dubbio in area leccese. L’arbitro lascia correre, ma impietosamente il VAR lo chiama a riveder la decisione. E’ calcio di rigore. Colpo secco, portiere giallorosso inchiodato sulla linea e palla alla sua destra, a rasar l’erba in fondo la rete. C’è ancora tempo per un ultimo assalto salentino prima dell’intervallo, anche questo sventato dai lagunari che concludono in vantaggio il primo tempo.

Nella ripresa il mood dell’incontro non cambia. Nonostante ora siano due le marcature necessarie per staccare il biglietto del passaggio turno, il Lecce è sempre padrone del campo. Finché al minuto sessantacinque arriva il pareggio strameritato, anche qui prendendo mossa da un calcio dalla bandierina. Pugno del portiere ad allontanare, palla rimessa al centro, batti, ribatti sotto porta e, finalmente, deviazione vincente in gol.

Quasi un terzo di partita ancora da giocare. Il tempo per l’affondo decisivo ci sarebbe tutto. A dieci minuti dal novantesimo, però, è il sogno giallorosso ad affondar del tutto, per di più nella più angosciante delle maniere. Mischia in area arancioneroverde con tiro verso la porta, intercettato dal braccio ravvicinato del difensore. L’arbitro fischia il penalty. Secondi di suspense. Il VAR non interviene. Sul dischetto dagli undici metri, il capitano posa il pallone. Passetti brevi di rincorsa e calcio della vita … alto sulla traversa, come a Marassi la scorsa annata.

Una battuta che in un attimo oltrepassa pure la curva dello stadio, irrompendo violentemente, quasi davvero fisicamente, dentro ciascuno di noi, cuori leccesi affranti. Con l’effetto istantaneo di sentirsi spettatori di un’altra partita. Come in ogni momento di dolore, speriamo che presto qualcuno ci svegli e ci dica che si è trattato solo di un incubo. Ma ciò non accade. Lo scorrere dei fotogrammi successivi, le lacrime del capitano in ginocchio, ci restituiscono alla triste, reale dimensione.

Quella che, fissata al tabellone, dopo sei minuti di agonia, più che di recupero, decreta l’amara fine, sia della gara Lecce-Venezia, sull’uno a uno, sia dell’intera stagione giallorossa 2020/2021.

Una stagione anomala ancora senza tifosi alla stadio e, soprattutto, discontinua, che ha visto i nostri partire bene, poi calare, poi di nuovo risalire fino a quel balsamico profumo dell’alta quota promozione e infine cadere precipitevolissimevolmente, auto sgambettandosi proprio sul più bello. E quando cadi, c’è sempre dolore, “grande dolore” conferma mister Corini.

Tuttavia,

«non dimenticare

scriveva il Beato Josemaría Escrivá

– che il Dolore è la pietra di paragone dell’Amore».

Anche se può capitare di soffrire per cose che mai avremmo pensato potessero ferirci così tanto, il dolore è sempre un punto di passaggio, un crocevia di strade che possono pure separarsi – … a proposito, grazie mister Corini auguri di cuore per il tuo futuro … – uno snodo. Comunque e dovunque, mai è un punto di approdo.

Anche se dopo un grande dolore non si è più la stessa persona, nel calcio come nella vita, per Amore, solo per Amore, ci si rimette in gioco.

E allora, forza caro Lecce nostro,

ricorda

canta Ultimo

– è dal dolore che si può ricominci(A)re!”

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